lunedì 29 marzo 2010

Si salvi chi può...


Piovono ancora guai sul groppone della Repubblica di San Marino, che incassa senza reagire.
E' di pochissimi giorni fa il servizio di Report (Rai 3), in cui si aggiorna il capitolo della trasmissione dello scorso maggio intitolato "Re Nero", dedicato alla piccola repubblica e alle sue magagne finanziarie. Un dritto in pieno volto. San Marino infatti, esce dalla puntata come uno stato infiltrato fin nelle ossa di marciume. E pensare che questo è solo il colpo di grazia.
La situazione è drammatica. Da tempo si alternano notizie di infiltrazioni mafiose, affari finanziari sporchi e politici che si battono per tutele imbarazzanti. Come a difendere un tragicomico diritto all'illegalità.
Quello che è andato in onda su Rai 3 ha messo a nudo (per l'ennesima volta) un sistema che pare, più che disonesto, disorganizzato ed incapace di difendersi.

Parliamoci chiaro, da qualche tempo la sensazione è che chi governa sul monte Titano purtroppo, non sia all'altezza della situazione. Ascoltando le interviste, leggendo i comunicati stampa e le notizie sui giornali locali, ci si trova davanti allo sconforto più totale. Non solo sembra che non abbiano la più pallida idea di come uscirne ma, involontariamente, sono in grado di insinuare nei cittadini il vivido sospetto che qua, al di là delle dichiarazioni di rito, la nave stia colando a picco e il capitano, invece che cercare orgogliosamente fino all'ultimo di non far affondare la baracca a costo di seguirla nell'abisso, sia invece li a sgomitare fra i roditori per mettersi in salvo.
Mai nessuno nella storia repubblicana era riuscito ad andare così vicino a consegnare le chiavi del paese a chi fuori confine alzava la voce. Ma più di questo brucia la svendita della dignità di uno stato che nei secoli ha fatto dell'orgoglio nazionale la sua bandiera e che oggi non sopporta di dover calare le braghe.

Se è vero che come scrive Cristina Bartelli su ItaliaOggi, i colpi da parte dell'italia arrivano con l'obiettivo di costringere con la forza la piccola repubblica a collaborare, allora ci vuole una reazione. O meglio, una prova di orgoglio e di coraggio. Perché mai come ora San Marino va difesa. E se chi dovrebbe farlo non è in grado, che se ne vada a casa.

San Marino ha bisogno di regole nuove. Di facce nuove. Di professionisti del mondo politico e finanziario che abbiano la capacità di intervenire strutturalmente sul paese in modo da riprendere la rotta. Una rotta che sappia finalmente sfruttare potenzialità economiche e culturali, senza il bisogno di lordare le mani della repubblica in operazioni sporche che non le fanno onore.

SM

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mercoledì 24 marzo 2010

L'Antica Terra della Troppa Libertà

Ieri mattina, leggendo la Voce di Romagna nella sezione della cronaca di San Marino, si poteva trovare un articolo a mezza pagina dai toni trionfalistici, con tanto di foto sorridente del politico di turno che annunciava: Revocate 6 società a San Marino. Avevano un giro d'affari di 120 milioni di euro e, dopo un anno, grazie al lavoro di due uffici e di svariati consiglieri, si è riusciti a chiuderle, dato che erano riconducibili alla categoria -ormai nota- di aziende fantasma con fini illeciti”.

A sentirla così, sembra che nell'antica terra della libertà le cose stiano veramente cambiando. Ormai quasi giornalmente, il governo locale mette in piedi iniziative per combattere una realtà che in passato ha contribuito a far finire San Marino nella lista “grigia” dell'unione europea. Fare stabilmente parte di quell'elenco equivaleva a chiudere bottega. Sarebbe stata la morte delle esportazioni allegre, della finanza creativa, dei conti segreti e dei finanziamenti “a pioggia”. Avrebbe voluto dire passare dall'essere un paese con quell'aria un po' furbetta dove potevi avere vantaggi fiscali aprendo società o conti bancari, all'essere un vero e proprio paradiso fiscale senza arte né parte.
Paragonare San Marino, che a tutti gli effetti è un fiorente paesino romagnolo, a qualche sperduta isoletta del pacifico o a paesi del terzo mondo senza né legge né ragione, era francamente troppo.

Grazie al cielo la faccenda si è conclusa per il meglio, ed alla fine si è dovuta barattare solo la faccia e non pure i vestiti con l'unione europea. Nascono così le liberatorie bancarie per utilizzare i conti sammarinesi all'estero, le nuove leggi sul riciclaggio del denaro, la “lotta senza quartiere” alle società fantasma e tante altre iniziative, tutte lodevolissime a dire il vero, che permettono al governo del monte Titano di tornare nella lista “bianca”. Ed è proprio seguendo questo “cammino della redenzione” che arriviamo alla notizia apparsa sulla Voce.

C'è però qualcosa che stona. Faccio sinceramente fatica ad esultare, leggendo che un lavoro che ha coinvolto tante risorse e un anno di lavoro porta a mettere nel sacco solo 6 società. Senza parlare del fatto che si parla solo della revoca delle stesse, senza mai accennare minimamente ad indagini penali o -figuriamoci- “patrie galere” per i fautori del misfatto. Solo revoche, facce sorridenti e strette di mano. Sembra un successone. O una farsa.

Dico questo perché, premettendo che come diceva quello: “Meglio di niente”, quando lavorai alla tesi di laurea sull'antica repubblica di cui sono cittadino, fra i tanti dati che raccolsi, ve ne erano alcuni veramente sconcertanti. Come risulta dalla relazione sullo stato generale dell'occupazione, presentata dalla Segreteria di Stato per il Lavoro, vi sono oltre 3000 imprese senza dipendenti su un totale di 6000 circa. Si avete letto bene. Secondo i dati circa il 50% delle imprese registrate non hanno dipendenti attivi. Con il passo attuale fra 500 anni le avremo chiuse tutte. Meglio tardi che mai.

È un giustizialismo del giorno dopo. Non serviva certo Sherlock Holmes per capire che c'era qualcosa che non quadrava in passato. Era il segreto di pulcinella.
Sono almeno quarant'anni che San Marino cavalca senza pudore il mercato finanziario senza curarsi minimamente di regolamentare la provenienza e i movimenti delle immense quantità di denaro che attraversano il suo territorio. Troppo facile ora dichiarare: “Siamo i primi a non volerle: Lo stato non ci guadagna niente”. Ci guadagna eccome.
Se così non fosse, non vi sarebbero giustificazioni all'immobilismo che sembra invece aver attanagliato il governo per molti decenni. Se è proprio vero che lo stato non ci guadagnava niente, perché mai non ha regolamentato prima tutto ciò? In quarant'anni, non è certo il tempo a mancare. Semmai è il coraggio che non è mai abbondato.

SM

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lunedì 22 marzo 2010

Romagna Mia?

La notizia è di quelle che si sentono solo in campagna elettorale. Il ministro Calderoli (e chi se no?) alza il tiro e dichiara che entro la fine della primavera, si arriverà al primo dei quattro passaggi per rendere indipendente la Romagna dall'Emilia. Ma cosa significherebbe avere una regione Romagna? Prima di tutto vorrebbe dire aumentare i costi. Al momento la regione Emilia-Romagna fa dell'efficienza la sua forza, vantando fra le altre cose un rapporto fra numero di consiglieri regionali ed abitanti che da anni è ampiamente sotto la media (circa 1 ogni 84.000 abitanti contro una media di 1/50.000), senza per questo rinunciare ad azioni locali o iniziative all'insegna del welfare. Pochi ma buoni insomma. Addirittura, in questa campagna elettorale uno dei punti di discussione più accesi è stato proprio quello sulla riduzione dei costi della politica in regione. Sarà pure propaganda, ma almeno se ne parla. Introdurre un nuovo consiglio regionale vorrebbe dire quasi raddoppiare il numero di consiglieri, portando il numero vicino alla (un tantino triste) media del nostro paese. Più consiglieri, più stipendi e costi lievitati.

La domanda che sorge spontanea a chi legge questo tipo di dichiarazioni è sempre la stessa. Perché farlo? La risposta dello strimpellatore di piazza è altrettanto pronta e prevedibile. Una regione più piccola è più efficiente dal punti di vista burocratico, più sensibile a problematiche locali e -gonfiando il petto- più rappresentativa della realtà culturale di una zona. Tralasciando ovviamente, di sottolineare che fra i buoni motivi -per lui- ci sarebbe soprattutto la possibilità di ottenere nuovi posti di lavoro -inutili- da usare come merce di scambio per favori clientelari e compravendita di voti. Si parla di cancellare organismi inutili come le province (che fanno buttare allo stato italiano miliardi di euro ogni anno) e qua si cerca addirittura di aggiungerne altri.

La verità è che la Romagna è da sempre fiera ed indipendente. Ma è un'indipendenza culturale, non politica. Essere "Romagnoli" è un sentimento più che un'etichetta. Non serve cancellare la parola "Emilia" per identificarsi con la nostra terra. Abbiamo fatto della collaborazione il nostro marchio di fabbrica, intrecciando rapporti commerciali e confindustriali che tutta Europa ci invidia, altro che divisioni.

Troppo facile spararla grossa per gonfiare d'orgoglio locale una piazza e finire in prima pagina. Il petto, lasciamolo gonfiare ai piccioni. E a Calderoli, naturalmente.

SM

venerdì 19 marzo 2010

Prima del primo

Salve a tutti!
Benvenuti in questo spazio di libero pensiero (blog?) che spero possa piacere, e attraverso il quale mi piacerebbe condividere opinioni e considerazioni.

Buona lettura!

SM