lunedì 22 marzo 2010

Romagna Mia?

La notizia è di quelle che si sentono solo in campagna elettorale. Il ministro Calderoli (e chi se no?) alza il tiro e dichiara che entro la fine della primavera, si arriverà al primo dei quattro passaggi per rendere indipendente la Romagna dall'Emilia. Ma cosa significherebbe avere una regione Romagna? Prima di tutto vorrebbe dire aumentare i costi. Al momento la regione Emilia-Romagna fa dell'efficienza la sua forza, vantando fra le altre cose un rapporto fra numero di consiglieri regionali ed abitanti che da anni è ampiamente sotto la media (circa 1 ogni 84.000 abitanti contro una media di 1/50.000), senza per questo rinunciare ad azioni locali o iniziative all'insegna del welfare. Pochi ma buoni insomma. Addirittura, in questa campagna elettorale uno dei punti di discussione più accesi è stato proprio quello sulla riduzione dei costi della politica in regione. Sarà pure propaganda, ma almeno se ne parla. Introdurre un nuovo consiglio regionale vorrebbe dire quasi raddoppiare il numero di consiglieri, portando il numero vicino alla (un tantino triste) media del nostro paese. Più consiglieri, più stipendi e costi lievitati.

La domanda che sorge spontanea a chi legge questo tipo di dichiarazioni è sempre la stessa. Perché farlo? La risposta dello strimpellatore di piazza è altrettanto pronta e prevedibile. Una regione più piccola è più efficiente dal punti di vista burocratico, più sensibile a problematiche locali e -gonfiando il petto- più rappresentativa della realtà culturale di una zona. Tralasciando ovviamente, di sottolineare che fra i buoni motivi -per lui- ci sarebbe soprattutto la possibilità di ottenere nuovi posti di lavoro -inutili- da usare come merce di scambio per favori clientelari e compravendita di voti. Si parla di cancellare organismi inutili come le province (che fanno buttare allo stato italiano miliardi di euro ogni anno) e qua si cerca addirittura di aggiungerne altri.

La verità è che la Romagna è da sempre fiera ed indipendente. Ma è un'indipendenza culturale, non politica. Essere "Romagnoli" è un sentimento più che un'etichetta. Non serve cancellare la parola "Emilia" per identificarsi con la nostra terra. Abbiamo fatto della collaborazione il nostro marchio di fabbrica, intrecciando rapporti commerciali e confindustriali che tutta Europa ci invidia, altro che divisioni.

Troppo facile spararla grossa per gonfiare d'orgoglio locale una piazza e finire in prima pagina. Il petto, lasciamolo gonfiare ai piccioni. E a Calderoli, naturalmente.

SM

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